giovedì 23 dicembre 2010

Racconto in esclusiva pe

Pubblico ora, ma solo perché siamo sotto natale e sono tutti più buoni, compresa me, un mio racconto creato poco tempo fa per il corso che sto seguendo alla scuola Holden di Torino.

NUOCE GRAVEMENTE ALLA SALUTE

di Giulia Fiore

Intelligenza,...niente ha procurato più guai alla razza umana che l’intelligenza” la voce di Thelma Ritter proveniente dalla tv risuona nella stanza di una ordinaria vecchietta. Proprio ordinaria non direi. Agata era cresciuta in una famiglia normale sì, ma dal nulla era diventata anormale, paranoica. Da un giorno all’altro si era ritrovata ad avere le più svariate malattie esistenti al mondo e fobie di ogni tipo: aracnofobia, sociofobia, aerofobia, emetofobia, brontofobia, carcinofobia, necrofobia, ma soprattutto agorafobia. Timorata dal mondo decise di rifugiarsi in casa, unico luogo da lei considerato sicuro, e di non mettere più piede fuori dal suo piccolo appartamento. Inutile dirlo, non aveva avuto figli, ed era rimasta sola con se stessa e le sue fobie. La gente del palazzo pensava che nessuno vivesse in nell’appartamento 4B del quinto piano, si era creata addirittura la leggenda che vi abitasse un fantasma, ma i pochi inquilini anziani ribattevano dicendo che ci abitasse una persona pazza e squilibrata. Ma quando gli veniva chiesto che aspetto ella avesse, questi rispondevano di non ricordarselo, talmente tanto tempo era passato dall’ultima volta che quella donna aveva messo piede fuori dall’uscio. Ed eccoci qua nella sua casa, Agata trascorre tutte le sue giornate allo stesso modo: si alza, fa colazione con latte e biscotti, fa le parole crociate per due ore e poi accende la televisione. Si può dire che la televisione sia stata la sua migliore amica da quando decise di non uscire più di casa. Era arrivata a sapere a memoria tutte le programmazioni dei vari canali meglio di una guida tivù. Guardava un po’ di tutto, dalle soap ai telegiornali, dai cartoni ai dibattiti politici, ma sotto sotto Agata amava i film d’azione, quelli di Sergio Leone in particolare, che le ricordavano il tempo trascorso con suo padre prima che morisse. Di tanto in tanto, tra un film di Sergio Leone ed una commedia romantica alla tv, veniva trovarla la vecchietta del primo piano Ernestina, che essendo vicino al portone, era al corrente dei movimenti di tutti quelli della zona, meglio di un agente investigativo. Era un giovedì mattina quando Ernestina le disse cosa aveva visto: << L’altro giorno ho visto arrivare una coppia stranissima, un uomo ed una donna, lei aveva i capelli blu!>>. <<Blu!>> ripeteva scioccata Agata. <<Si sono trasferiti al 3A nel palazzo di fronte, e stavano portando tantissime borse nere, sai, come quelle che si vedono nelle rapine, mi chiedo cosa ci sia dentro>>. <<Niente valigie?>> chiese curiosa Agata. Quella rispose di no e continuò a sorseggiare il suo thé. Non parlarono più degli inquilini del 3A, sebbene la mente di Agata ritornasse più volte su quel appartamento. Agata si sforzò di non pensarci, ma quando la sua amica se ne andò, involontariamente passò sempre di più di fronte a quella finestra che dava sul cortile e faceva intravedere le finestre del misterioso appartamento. Spinta dalla curiosità che si ha soprattutto a quell’età, decise che quel pomeriggio non avrebbe guardato la sua soap preferita, invece avrebbe ricamato davanti a quella finestra dando di tanto in tanto una fugace occhiatina fuori. Erano quasi le cinque del pomeriggio quando tra una sferruzzata ed un’altra vide due sagome, quella di un uomo e di una donna, portare altrettante borse nere nell’appartamento. Agata seguì con gli occhi il loro cammino, lasciando perdere per qualche secondo la maglia. La luce dell’appartamento si accese, e benché all’inizio non sembrasse esserci nessuno, poco dopo gli occhi di Agata si spalancarono per lo stupore. Aveva visto qualcosa, qualcosa di raccapricciante e spaventoso. Le due sagome avevano iniziato quella che sembrava far pensare ad una feroce litigata, prima c’erano stati degli spintoni, poi degli schiaffi, finché l’uomo non aveva preso un coltello e colpito la donna vicino al collo. Agata fece cadere la maglia per terra e corse in bagno. Era spaventata, le sue mani tremavano, non avrebbe dovuto vedere una scena del genere alla sua età, vedere un omicidio in diretta non avrebbe fatto di certo bene ai suoi nervi. Si bagnò la faccia con un po’ di acqua gelata e si guardò allo specchio. Cosa avrebbe dovuto fare ora? Avvertire qualcuno certo, ma chi? Su suggerimento di una puntata di CSI decise di chiamare la polizia. <<Si? Caporale Farina, chi parla e qual’è il suo problema?Se siete fermi in ascensore per favore chiami i pompieri>> rispose una voce fiebile ed annoiata. <<Ho visto un omicidio, nel palazzo di fronte a casa mia, fate venire qualcuno subito! Ci saranno da raccogliere gli indizi sulla scena del delitto>>. <<Scusi, lei ha visto cosa? Come si chiama?>> << Ho visto un omicidio le ripeto, un uomo ha ammazzato una donna. Sono Agata ed abito al 4B di via delle gaggie>> Il caporale riconobbe subito l’appartamento della leggenda, e credendo come tutti che la signora fosse pazza la liquidò dicendole di non preoccuparsi. <<Resti in casa>> le disse facendo seguire una fragorosa risata. Agata chiuse il telefono scocciata. Evidentemente non l’avevano presa sul serio e quel caporale si era rivelato un vero idiota. Non si dette per vinta, e tornò a guardare fuori dalla finestra. Ora l’appartamento era avvolto nell’oscurità, era chiaro che l’assassino fosse uscito, magari per liberarsi del cadavere pensò. Agata era sempre di più nel panico, passava le ore mangiandosi le poche unghie che le erano rimaste, respirando affannosamente e facendo avanti e indietro dal bagno prima per vomitare e poi per improvvisi attacchi di diarrea. Non dormì quella notte per paura che l’assassino l’avesse vista e che la venisse a cercare come aveva visto fare nel film di Hitchcock. O almeno così era convinta lei.

Si era addormentata da pochi minuti quando un rumore la riportò alla realtà. Era mattina e qualcuno sembrava forzare la serratura per entrare in casa sua. Perché l’assassino avrebbe dovuto assalirla alla luce del sole? Forse aveva intuito che non avesse chiuso occhio tutta la notte? Cercò di non farsi prendere dal panico, corse in camera, rovistò nell’armadio e prese la prima cosa che trovò: una vecchia mazza da baseball. “E questa da dove viene fuori?” si chiese stupita che un simile oggetto bizzarro si trovasse nel suo armadio. Chiunque fosse ci stava mettendo troppo ad aprire la porta, e fu allora che decise di coglierlo alla sprovvista. Non appena la porta si aprì lo colpì in testa con la mazza talmente forte che questo si accasciò al suolo inerme. Agata fece un sospiro di sollievo, poi guardò per terra. <<Oddio>> disse <<cos’ho fatto?>>. Dal momento che aveva deciso di non uscire più di casa, aveva trovato un ragazzotto del palazzo che ogni giovedì le portava la spesa a casa, e lei lo ripagava con qualche soldino. Quello stesso ragazzo proprio ora era steso sul pavimento di casa sua. Agata gli rovecchiò un bicchiere d’acqua in faccia ed il ragazzo si svegliò ansimando. <<Signora Agata>> disse ancora frastornato <<come mai ha una mazza da baseball?>> Andrew non era un ragazzo normale, lo si poteva capire da come si vestiva, a volte portava delle strane tuniche, blaterando qualcosa in una lingua che lui diceva essere vulcaniano, oppure andava in giro con delle protesi che rendevano le sue orecchie a punta. Insomma Andrew era un vero e proprio nerd, amava i fumetti, i giochi di ruolo e i film di fantascienza. Non era normale appunto, e prima di chiedersi perché la vecchietta lo avesse colpito, il suo sguardo fu attirato dalla mazza da baseball. Agata rispose che la mazza era stato un regalo di qualcuno che ora la sua memoria non riusciva a ricordare. <<Non è una mazza normale, è autografata da Joe Di Maggio dei New York Yankees! Aspetti un attimo, lei mi ha colpito! Mi ha colpito in testa!>>disse subito dopo. Agata gli raccontò cosa aveva visto la notte prima, Andrew rimase sorpreso e senza ombra di dubbio ci credette. Era appassionato talmente tanto dai supereroi e le loro storie d’avventura che era fissato con il fare la cosa giusta continuamente, anche nelle situazioni sbagliate. E questa era una di quelle. <<Bisogna andare a cercare delle prove, così la polizia ci crederà!>>esclamava Andrew, mentre Agata annuiva. Dopo qualche minuto decisero che uno di loro avrebbe dovuto intrufolarsi in qualche modo nell’appartamento per cogliere le prove del delitto. Alla fine toccò ad Andrew, anche se all’inizio il ragazzo aveva una paura matta, ma le argomentazioni di Agata erano molto convincenti: ginocchia forti, gambe robuste, occhi da falco, e la sua intraprendenza tipica della gioventù. Agata gli offrì persino la mazza da baseball come protezione nel caso qualcuno l’avesse assalito. Non appena il ragazzo fu uscito Agata si posizionò dietro alla finestra in attesa di seguire i suoi movimenti. Lo vide attraversare il cortile e poi sparire nel palazzo. Rimase in attesa del suo ritorno per ben due ore. Era entrata nuavamente nel panico, aveva vomitato, ingurgitato un litro e mezzo d’acqua e tirato la catenella del water almeno dieci volte. Qualcuno lo ha scoperto, o magari ucciso!” pensava tra sé Agata, infondo c’era sempre un killer a piede libero che si aggirava nel quartiere. Sì, era sicuramente andata così. Ma la realtà era ben diversa da come la mente di Agata si era immaginata. Infatti non appena Andrew salì le scale per recarsi al 3A, incrociò una sua compagna di scuola di cui lui era follemente innamorato. Questa le chiese come mai fosse lì, e lui accampò una scusa. Gli chiese poi se volesse fare colazione insieme a lei, dal momento che sua madre aveva fatto una buonissima torta al cioccolato. Andrew non se lo fece ripetere due volte, mollò la mazza sulle scale, e la seguì, perso nei suoi occhi blu, dimenticandosi completamente di Agata e dell’omicidio. Questa volta l’amore aveva giocato un brutto scherzo. Agata dopo aver aspettato ore, aver consumato la carta igienica e purificato il suo intenstino, decise di uscire affrontando di petto le sue fobie. Dopotutto aveva condannato a morte un ragazzo! Si mise addosso una giacca ed afferrò una padella, ed in men che non si dica varcò l’uscio. Arrivata al portone si chiese come avrebbe fatto mai ad entrare nell’appartamento, poi le venne un’idea. Certo, si erano appena trasferiti e nessuno l’aveva mai vista, così chiese al portiere di farsi aprire la porta dal momento che fosse la madre di uno dei nuovi inquilini. Varcò la soglia ed entrò ancora di più nel panico: il tappeto era macchiato di sangue. Inoltre eesendo sorda ed avendo dimenticato di metter l’apparecchio per l’udito, non si accorse che qualcuno era entrato alle sue spalle dalla porta. Questi le mise una mano sulla spalla , ma Agata presa dal panico, lo colpì con la padella sulla testa, e questi cadde svenuto. Tremante di paura Agata fece pochi passi all’indietro, cercando di raggiungere la porta, quando accidentalmente urtò la portiera di un armadio, da cui uscì uno scheletro. Inutile dirlo, Agata urlò, ma urlò talmente tanto forte che addirittutra Andrew la sentì, improvvisamente si ricordò tutto, e corse su verso l’appartamento. Intanto dalla porta del bagno comparve una donna con un coltello conficcato in testa e coperta di sangue. Venne verso Agata con le braccia stese in avanti, ma questa spaventata dalla visione cadde per terra priva di sensi, proprio mentre Andrew faceva il suo ingresso nell’appartamento. I nervi di Agata avevano ceduto, questo era stato troppo, decisamente troppo per lei.

Agata si ritrovò distesa sul divano di casa sua quando riaprì gli occhi, per qualche momento si sentì sollevata, credendo di aver sognato tutto, poi sussultò. Davanti a lei Andrew era seduto accanto all’uomo ed alla donna con il coltello in testa. << Si calmi signora Agata>> disse Andrew << c’è stato un malinteso, nessuno è morto>>. <<Siamo due artisti signora, ieri sera stavamo girando una scena di un film>> cercò di spiergarle l’uomo. <<Le chiedo scusa per averla spaventata, ma non mi ero ancora tolta il trucco di scena, sa com’è, ci metto ore a farmelo>> intervenne l’altra inquilina. <<Io l’ho capito subito, ho visto il marchio del film!>> disse fierò di sé Andrew << Non capisce? Si è immaginata tutto Agata!>>.

Agata per la prima volta dopo tanto tempo scoppiò a ridere con una risata fragorosa tanto da coinvolgere anche gli altri. “Ecco cosa succede a farsi prendere dal panico ed ha vedere troppi film” pensò tra sé e sé. Dopo quell’avventura decise che sarebbe uscita d’ora in poi, e che per un po’ di tempo, molto tempo, non avrebbe più acceso la televisione, che aveva appurato sulla sua pelle, era capace di fare il lavaggio del cervello a chiunque, anche ad una tipa sveglia ed attenta come lei.




venerdì 21 maggio 2010

Incontro con l'Autore

Finalmente l'ho incontrato.
Lui, che in un momento particolare della mia vita, mi ha aiutato. Aiutato a decidere cosa fare della mia vita, ad avere un perché, a seguire i miei sogni, a prendere in mano le redini del mio destino.
Era lì, ereggendosi dalla folla con la sua postura perfetta, da chi, con gli occhi di un adulto, sa quale sia il prezzo della vita ed il suo perché. Simile ad un cupido ascoltava le persone parlare del più e del meno. Mia mamma si avvicina per parlargli e fargli i complimenti del libro, ma io sono completamente nel pallone. Non so cosa dire, divento rossa. Ho paura di rivelarmi, io che non mi scopro con nessuno, neanche con mia madre. Io mi compio solo quando scrivo, ma questo lui lo sa bene. Lo capisce in un secondo, guardandomi negli occhi, sorvolando il mio imbarazzo. Non riesco a dire nient'altro se non un banale "grazie". I miei occhi parlano, fanno un discorso che lui ha già compreso.
I suoi discorsi, le sue parole mi commuovono. Tengo a stento le lacrime ed i sospiri si fanno più veloci e corti. E' come un treno che non si ferma alla stazione. Poi anche i suoi occhi, come per magia, si fanno più lucidi parlando dei genitori e dell'affetto reciproco che provano.
Tutto è amore, dice, tutto è amicizia, come l'acqua che crea quel fortissimo legame tra gli atomi di idrogeno e di ossigeno, mettendo a disposizione dell'altro i propri neutroni.
Condividere, questa è la parola chiave.
Non conta ciò che ricevi, ma ciò che dai. Lo si capisce vivendo, tentando ogni giorno di capire chi si è, e che cosa si vuole diventare. Lo si capisce dalle proprie scelte, quelle scelte che la vita ti mette davanti nel momento del dolore.
Lui ci ha capito. Ha capito come siamo complessi. E allora non mi sento più stupida e inutile. Sento che il percorso alla ricerca di me stessa non è stato vano. Ho il rimpianto però di non averlo scoperto prima quale fosse la mia strada. Avrei voluto che una persona del genere entrasse prima nella mia vita. Forse avrei fatto scelte diverse.
Non mi sento più sciocca, quando leggendo una poesia o un romanzo, comincio a piangere. L'arte tocca l'anima in punti talmente profondi che neanche una lama saprebbe fare meglio. Quando chiudi un libro concludi una lettura vissuta, è come lasciare un amico, che però ti aiutato e per questo lo porterai sempre con te nel cuore.
L'arte riempie la vita, la letteratura apre la vita.
Troviamo le risposte a tutto,....basta solo girare pagina.

G.

"Nella vita ci vuole il bianco.
Così come ci vuole il rosso"



Grazie,
A Alessandro D'Avenia

mercoledì 5 maggio 2010

Tears

"E un sollievo di lacrime a invadere gli occhi e dagli occhi cadere. (Fabrizio De André) "


Non tutte le lacrime sono uguali.

Siamo esseri umani e piangiamo attraverso le lacrime, quelle che gli specialsti definiscono come " quelle strutture liquide che ricoprono la congiuntiva palpebrale bulbare e la cornea, prodotta dall'apparato lacrimale". Se chiedeste ad un medico la specifica funzione delle lacrime, nell'elencarvele ve ne dirà una: pulizia. Le lacrime ci puliscono da ciò che è estraneo al corpo, ci purificano, non solo il corpo, ma anche l'anima. Quando qualcuno piange si usa sempre dire " piangi pure, così ti sfoghi". Ed è vero. Le lacrime servono per sfogarsi, per buttare fuori quel qualcosa che ci fa male, che ci da fastidio e che non sappiamo come allontanare. Spesso dopo una notte passata a piangere, ci si sente meglio, ci si sente sollevati. Ed è così, le lacrime sono finite, gli occhi sono rossi, gonfi, ma anche se vorremmo, non riusciamo più a piangere, non vogliamo più piangere. Quello che prima ci dava fastidio è scivolato via da noi, dal condotto lacrimare e dal cuore. Le ansie, le paure non sono più pesi sulla nostra anima. Scivolati via, come la corrente del fiume porta a valle le fronde degli alberi.

Piangiamo tanto, chi più chi meno, a volte per cose futili, per cui non si dovrebbero sprecare neanche le nostre lacrime. Si piange per un film, per un libro, per una storia d'amore andata a finire male, ma non ci accorgiamo che nella vita ci sono persone che dovrebbero piangere a dirotto ed invece tengono la testa alta e non sprecano nenache una lacrima.

Le nostre lacrime sono preziose, conserviamole segretamente.




G.

giovedì 18 marzo 2010

Life

"Il percorso della nostra esistenza segue una strada tortuosa, posso solo sperare che in qualche modo mi riconduca al luogo al quale appartengo." (N. Sparks)


Quando la vita ti conduce davanti a delle scelte è sempre dura. Tutto quello di cui eri sicuro, svanisce, comincia ad offuscarsi, confondersi, mescolarsi. E quello che era certo diventa incerto. E' sempre il solito tema del bivio...Cosa fare? Andare avanti o tornare indietro?

La cosa più semplice sarebbe andare avanti, ma quando ricevi una batosta è sempre difficile "andare avanti", tenti di tornare indietro,ma non ce la fai. Allora fai l'unica cosa necessaria in quel momento: ti adegui alla situazione, reciti la tua parte, indossi una maschera che non ti rappresenta, in attesa che tutto si sistemi per qualche strana complicazione divina. Ma come avviene nei romanzi, i veri eroi sono quelli che combattono per qualcosa, e la loro forza non sta tanto nella prestanza fisica o nella genialità, quanto nella tenacia e nel coraggio di andare avanti e lottare. Non importa cosa si perde o contro chi si lotta, che sia un troll o un esercito intero, se c'è qualcosa che ci spinge a continuare per la nostra via.

Coraggio. Ecco quello che serve nella vita. Coraggio, e basta, nelle proprie scelte, nelle relazioni.

Quando qualcuno ti dice "non sono innamorato di te" ed il tuo mondo crolla, ti senti l'individuo più debole del mondo, vorresti sprofondare, correre via. Ma fare un biglietto aereo per una località remota non ha senso. Bisogna solo affrontare le realtà di pancia e come andrà andrà. Per questo in quel momento fai di tutto per rimanere composta, ricacci indietro le lacrime, ti comporti da persona educata, ragionevole, tentando di fare la diplomatica, anche se sai che dentro di te qualcosa si sta spezzando. E fa male.

Coraggio delle proprie scelte, errori, e parole.

Tutto qua.


G.


"Il tempo aiuta a dimenticare e il destino regala sempre una seconda occasione. Ma aprirsi all'amore significa rendersi vulnerabili." (da Il posto che cercavo - N.Sparks)

martedì 9 marzo 2010

People

"Sometimes happen when you meet someone..."


Tutte le persone che incontriamo nella nostra vita ci segnano, chi in modo positivo, chi in modo negativo, ma tutte ti lasciano inevitabilmente qualcosa. Di tutte le persone che conosco una in particolare mi ha colpita, tanto da rimanermi dentro, e di tanto in tanto la mia stramba mente mi riconduce a lui. Era un mio compagno di liceo, solitario all'inizio, faceva il duro, ma così non era. A conoscerlo bene era un ragazzo normalissimo anche se a volte preferiva indossare una maschera e farsi passare per quello che certamente non era. Non era stupido come dicevano gli insegnanti, e non era ingenuo come dicevanoi suoi amici. Lui era di più. Aveva un mondo dentro, così bello e ricco, che valeva la pena di esserne parte, ma lui si chiudeva, e chiudeva in se stesso. Nessuno lo capiva. Forse proprio per questo lui mi è rimasto impresso, la sua fiducia ed il suo modo di essere spavaldo nonostante il fatto che fosse "solo" con se stesso, che si sentiva dire quelle cose. Francamente ancora adesso non so come abbia fatto, ma lui ha continuato ad andare avanti, facendo il suo percorso, non usuale certo, ma continuando per la sua strada qualsiasi cosa succedesse. Aveva una grande forza dentro, che io, alla sua età non avevo.

Ed in quell'età così strana e particolare che è l'adolescenza, quando cerchi conferme da tutti e da tutto per poter andare avanti, lui era molto più maturo grande di me. Lui mi ha dato una piccola conferma, che all'epoca mi fece molto piacere: fu il primo a dirmi di credere in me stessa, brutto anatroccolo, che prima o poi sarei sbocciata e qualcuno si sarebbe accorto di me. Mi disse che ero carina e simpatica. Anche se fu solo per messaggio per me fu importante, e quando detti il mio primo bacio, la prima persona a cui volli dirlo fu proprio lui, che mi rispose di essere orgoglioso di me. Non ci fu mai niente tra noi, niente di serio intendo, se non un'amicizia persa nel tempo. Lui fu bocciato, poi cambiò scuola. Qualche messaggio, e poi niente.

Non ci sentiamo da qualche anno oramai, ognuno ha preso la propria strada, ha fatto le sue scelte, ma io ogni tanto ci penso, a cosa fa, cosa pensa, se è cambiato o no, se è ancora quel ragazzo già uomo, o un uomo con lo spirito di peter pan. L'ho sempre visto come un interessante personaggio di un film, e che la sua storia toccherebbe molte persone.

Ovunque sia, spero stia bene. Non leggerà mai questo, ma gli voglio dire lo stesso...

...Grazie...


G.

mercoledì 10 febbraio 2010

Dancing


Ogni volta che parlo della danza mi si illuminano gli occhi. Ogni volta che guardo un balletto quegli stessi occhi diventano lucidi, e poi sgorgano lacrime. Ho un'espressione particolare, assopita, confusa, incantata, o almeno così dicono perché io non mi sono mai vista dall'esterno, anche se con tutta me stessa tento di provarci. Ogni volta che ballo sono libera, da tutto e da tutti. Esisto solo io e nient'altro. La danza è uno sfogo, una passione nata fin da piccola, avevo cinque anni quando ho cominciato. E non me ne pento. Non riesco ad immaginare cosa avrei fatto se lei non ci fosse stata quano avevo bisogno. Probabilmente sarei finita a drogarmi o altro. Quando non si sa dove sbattere la testa finisce così. Ma lei, come una mamma, un'amica, ti raccoglie tra le sue braccia e ti culla, ti fa danzare, cantandoti una ninna nanna, e tu cadi preda sua. Ti senti confortata, senza pensieri. Ora che ci penso, la danza è un po' come una droga: quando incominci non riesci a farne a meno, se la fai con il cuore.
Dopo tanti anni di danza però, ogni tanto a lezione, mi sento magonata, oppressa da una sensazione strana. Mi vengono gli occhi lucidi, quasi piango, e ritorno alla realtà. Il mondo di fantasia in cui danzavo non c'è più, solo io ed un'asettica stanza.
Conosco il perché di quella sensazione. E' da quando ho avuto "Quella" malattia che mi succede. Lei mi ha rovinato, rovinato dentro e rovinato lo spirito. Grazie a Dio non mi ha ucciso. Sono stata fortunata, ed ancora oggi ringrazio la mia buona stella. Ma si sa, dalla vita non puoi mai sapere cosa ti aspetta,ed io Lei non me l'aspettavo. L'ho combattuta, con tutte le mie forze. Sembrava scomparsa. Ma ogni volta che ballo, come una presenza oscura si manifesta, ed io sto male.

Sono arrabbiata con Lei. Sono arrabbiata con me , con il mio corpo.

Tutti i sacrifici che avevo fatto per ottenere il fisico di una ballerina, l'estensione delle gambe, l'equilibrio, la stabilità, la forza dei muscoli, erano scomparsi. Ci avevo messo tanto impegno e dedizione ad acquisirli, anni di sacrifici, 1o anni.
Ma Lei si era mangiata parte di me.
Io ho tentato, e tento ancora, di riacquistarli, man mano, prima la fisioterapia, poi la danza classica, tentando di recuperare quel rigore che avevo e che facevano di me una ballerina.
Ancora adesso ci provo, ma faccio fatica. E mi sento avvilita, sconfitta, sapendo che sono regredita con il corpo, e per quanti sforzi faccia, non tornerà come prima.
Inoltre sto invecchiando ed il mio corpo me lo ricorda ogni volta. Non ho più le abilità che avevo una volta di recuperare ciò che avevo perso. Poi la musica fa scaturire dentro di te un'ondata, che ti travolge, perdi i sensi, e ti senti bene. Si dice che i ballerini siano "tecnici", ma i ballerini, quelli veri sono Anima, con il corpo devono esprimere mille emozioni, senza neanche dire una parola. Siamo artisti, siamo attori con il nostro corpo.

Sarei potuta diventare ancora più brava, forse.
Continuo a ballare, il corpo regredito, la mente aperta. Ho bisogno di lei, della danza. Mi ha insegnato la vita, la disciplina, e che se vuoi qualcosa devi lavorare tanto, fare sacrifici.
Ballo con lo spirito. Ballo per sognare. Ballo per sentirmi viva.
G.






mercoledì 27 gennaio 2010

Revision of Nine


NINE
Regia: Rob Marshall
Sceneggiatura: Anthony Minghella, Michael Tolkin
Attori: Daniel Day-Lewis, Penélope Cruz, Sandro Dori, Marion Cotillard, Sophia Loren, Kate Hudson, Nicole Kidman, Stacy Ferguson, Judi Dench, Martina Stella, Elio Germano, Ricky Tognazzi, Giuseppe Cederna, Enzo Squillino Jr., Giuseppe Spitaleri, Roberto Nobile, Valerio Mastandrea, Remo Remotti, Monica Scattini, Roberto Citran Ruoli ed Interpreti
Fotografia: Dion Beebe
Musiche: Maury Yeston
Produzione: Lucamar Productions, Relativity Media, The Weinstein Company
Distribuzione: 01 Distribution
Paese: USA 2009
Uscita Cinema: 22/01/2010
Genere: Drammatico, Musical, Sentimentale
Durata: 120 Min
Formato: B/N-Colore 2.35 : 1

Premetto di non avere visto 8 e mezzo di Fellini, ma il film nel complesso mi è piaciuto, anche se meno di Chicago. Storia interessante, soprattutto il rapporto del protagonista Contini con le donne. Tra le musiche un'attenzione particolare va posta su "Cinema Italiano", e tra le coreografie, il numero più bello è quello di Fergie "Be Italian". Ruoli calzanti alle protagoniste, ed inoltre bella fotografia con quel gioco di luci e colori (tutti i numeri musicali sono realizzati sullo stesso sfondo,lo studio dove girano il film, come se fossero a teatro).
Voto: 8 e mezzo!

Pensieri Solitari
Ieri sera nevicava. Avete mai fatto caso che quasi tutti i racconti horror cominciano con la frase "era una notte buia e tempestosa"? Come se la tempesta ed il buio fossero le uniche cose spaventose, ieri sera Torino era magica: aveva una luce particolare, e, per quanto la neve sia bella, era anche abbastanza inquietante. Il bianco della neve copriva tutto, un silente riposo per la città che nell'oscurità cela i suoi piiù remoti segreti sotto un velo bianco.

G.